mercoledì 12 dicembre 2012

E il nostro sarebbe nazionalismo?


  Le parole d'ordine sono "no ai populismi", "no ai nuovi nazionalismi". Lo ripetono tutti, a pappagallo, dal presidente del Consiglio uscente al Pd, fino a tutti i Pigi Battista dell'italica carta inchiostrata. Chiamano populismo e nazionalismo tutto ciò che non rientra nei loro piani, nel loro diktat di progressivo impoverimento e di spillaggio della sovranità. L'asse PD-SPD, la nuova "internazionale" del "Ce lo chiede l'Europa", non ha dubbi e agisce in modo fascista sulle idee diverse. Cominciamo allora a mettere i puntini sulle "i".

   Non è l'Europa che ce lo chiede: ce lo chiedono loro. Il che non suona esattamente allo stesso modo, right? L'Europa non esiste, dunque non ha un pensiero, un volto, e soprattutto non parla. Facendola assurgere a divinità, a oracolo che si esprime attraverso teoremi e parametri (e si è visto come li stabiliscono), si tenta di annichilire ogni obiezione, ogni possibilità di critica, esattamente come nessun fedele contesterebbe un messaggio spirituale ricevuto dalla Madonna in persona e pervenuto attraverso le labbra di una veggente. Invece, chi trasmette i messaggi della dea Europa sono uomini e sono donne in carne e ossa. Sono i medium che comunicano con lo spirito continentale, i gran sacerdoti di una religione rivelata che vuole instaurare un nuovo Ancien Régime in cui i memorandum, redatti da un manipolo di cardinali eletti per volere di Dio, assurgono al ruolo di scritture sacre. Essi esprimono, beninteso e con titolo, le loro opinioni. Ma solo quelle: non sono per forza di cose rappresentativi di alcuna unità pretesa e indimostrata: anzi, per l'esattezza sono rappresentativi di un bel niente, se non di loro stessi e dei loro interessi.


  Costoro hanno dunque paura di chi non sente le voci della dea Europa, che chiede sacrifici come e peggio dello Jahvè di Mosè e manda i suoi comandamenti inscritti su tavole della legge scolpite dalla Troika. Chi osa contestare il totem dello spread è il nuovo infedele. Siamo populisti e pericolosi nazionalisti. E perché mai? Perché osiamo aprire i documenti e analizzarli, con il supporto di economisti non allineati, non a libro paga, e ne traiamo deduzioni illuministiche anziché fideistiche? In nome di cosa dovremmo essere definiti così? Siamo viceversa "razionalisti". E non combattiamo l'aspetto religioso, ma la Santa Inquisizione: combattiamo i Torquemada del "più Europa a tutti i costi", combattiamo i crociati che conquistano la Terra Santa, l'Italia, alla ricerca del Sacro Graal, la ricchezza accumulata dagli italiani. E soprattutto, reagiamo a un'offesa. Se costoro, avendo aperto un libro di storia, snocciolano antichi spauracchi come se dagli anni '20 del secolo scorso il tempo non fosse mai passato, allora dovrebbero anche sapere che ad ogni pressione corrisponde una reazione. Dovrebbero sapere che se schiacciano, vessano, opprimono, prima o poi i vessati e gli oppressi reagiscono per riappropriarsi dei loro diritti: si fanno reazionari.

   I nazionalisti non siamo noi. Non sono cioè i critici di un modello di economia usato come una frusta sui lavoratori dell'Europa del sud. Nazionalista è infatti, innanzitutto, chi crede che esistano confini netti e precisi che differenziano i popoli tra di loro, tracciando una linea di demarcazione netta. E chi è più nazionalista di quelli che ci hanno dato a intendere per oltre un anno che c'è un popolo di buoni e un popolo di cattivi, che c'è un popolo di di parsimoniosi e un popolo di spendaccioni, un popolo di saggi e un popolo di stolti? Chi ha suddiviso artificiosamente i cittadini europei in classi, nonostante perfino un recente rapporto della Commissione Europea abbia scritto nero su bianco che non c'erano sostanziali differenze tra le economie di Italia e Germania, e che siamo stati penalizzati per il solo fatto di appartenere a un territorio al di qua di un confine? Sono stati loro, quelli del "ce lo chiede l'Europa", quelli che sentono le voci come nuovi pastorelli di Medjugorje e rivolgono il viso al cielo sopra Berlino, in stato di profonda adorazione e prostrazione. Sono stati loro a menarcela per tutto questo tempo con il fatto che "abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità", ignorando forse volutamente i fondamentali dell'economia. Sono loro che ci hanno fatto sentire come un popolo di cicale, a dispetto del fatto evidente che abbiamo sempre fatto fatica ad arrivare alla fine del mese, mentre al di là del confine ci sarebbe stato un popolo di lungimiranti formichine che non chiedeva nulla per sé, quando in realtà sono state proprio quelle formichine a dare origine alla crisi del nostro debito sovrano e alla corsa alla speculazione, liberandosi di miliardi e miliardi dei nostri titoli, allo scopo documentato di acquistarci a prezzo di saldo, realizzando grandi profitti, estendendo la loro influenza sulle nostre istituzioni e facendo il gioco delle superpotenze esportatrici di democrazia, sempre a caccia di nuove opportunità. Sono stati loro, quelli contro i nazionalismi e i populismi, a insegnarci che esistono popoli di serie A e popoli di serie B - e che noi non eravamo di certo in prima classe - e dunque è a fronte di questa offesa originaria che si sviluppa legittimamente la reazione: non siamo un popolo di serie B, ma non vogliamo neppure essere un popolo di serie A, essendo contrari a qualunque nuova apartheid di stampo europeo. Vogliamo però che la smettano di raccontare frottole per inseguire le loro velleità di chirurgia plastica sovranazionale. Vogliamo rispetto. Vogliamo confronto. Vogliamo ristabilire l'equilibrio perduto tra le dignità di popoli, lingue e culture. Vogliamo che ci venga restituita la rispettabilità che ci hanno tolto, e non i tedeschi, ma gli adepti della setta elitaria europeista ad oltranza, tutta italiana, macchiandoci di un peccato originale che non avevamo commesso e che non è connesso a questa crisi che arriva da lontano, che non ha a che fare con il debito pubblico e di cui non siamo responsabili, se non nella stessa misura in cui lo sono tutti gli altri, nessuno escluso.
Se non vogliono rigurgiti di nazionalismo, la smettano con la litania del rigore, con il mantra secondo il quale noi "non lavoriamo quanto i tedeschi", quando ci sono studi indipendenti di istituti finanziari francesi i quali dimostrano che, al contrario, noi siamo quelli che lavoriamo di più e più a lungo. Se continuano a riferirsi al popolo italiano come a un popolo di irresponsabili fannulloni, di profittatori che viaggiano a sbafo, a rimorchio del locomotore tedesco, siamo costretti a ricordare loro che in Europa siamo quelli che hanno pagato di più e che hanno avuto indietro di meno; che la crisi greca l'abbiamo pagata noi più dei tedeschi, che pure erano quelli più esposti e che hanno avuto indietro i soldi; che grazie al fondo salva-stati di cui nessuno ha avuto mai bisogno abbiamo regalato miliardi su miliardi alle economie dei paesi dell'Europa centrale, Germania in testa; che Berlino trucca i suoi conti per nascondere un debito che altrimenti sarebbe di 7mila miliardi di euro; che aggirano il divieto di vendere i titoli di stato alle banche centrali, facendoli comprare dalla Bundesbank sul mercato secondario qualche giorno dopo l'emissione, e in questo modo "stampando moneta" nei fatti, con buona pace di italiani, greci, spagnoli, irlandesi e portoghesi. E potremmo andare avanti...

   Fare queste rilievi sarebbe nazionalismo? A casa mia si chiama mantenere lucidità ed equilibrio rispetto alle pressioni di chi, dopo avere mandato le nuove SS della troika a Montecitorio e a Palazzo Marino, minacciando i parlamentari come era accaduto l'ultima volta solo dopo la marcia su Roma, e dopo avere collaborato alla destituzione di un Governo, con il plauso degli utili idioti, ora vorrebbe perfino mandare un intero popolo alle cabine elettorali sotto dettatura, dando indicazioni di voto come fece in occasione delle ultime elezioni in Grecia, per fare non i nostri interessi, i quali devono essere stabiliti in completa autonomia e senza interferenze esterne, ma quelli di una non meglio precisata classe elitaria di burattinai autoproclamatisi governatori del buon senso e del mondo intero.

   Se c'è un nazionalismo, questo non è che la legittima difesa di un popolo che prima hanno identificato, costretto all'angolo e compattato, chiamandolo per nome, denigrandolo, esponendolo alla pubblica gogna dei PIIGS, facendolo diventare nella vulgata uno dei maiali d'Europa, e che adesso non ci sta più, si rialza, si schicchera via la polvere dalla giacca, si presenta alla tavola imbandita degli dei, si prende una sedia e, appoggiato il palmo della mano sul tavolo, con le dita ben aperte, fissa negli occhi uno ad uno i signori che giocano a Risiko sulla nostra pelle e, con le labbra sottili e tese, sibila un perentorio "Game over!".

di Claudio Messora

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